Transfer di Gruen: come ci fregano i centri commerciali

Potremmo definirlo il “raptus dello shopping”, ovvero quel momento di semi confusione in cui perdiamo la nostra capacità decisionale diventando consumatori compulsivi.

Nel marketing, questo stato mentale, è chiamato “Transfer di Gruen”. Il nome viene da Victor Gruen, l’architetto austriaco che nel 1956 ideò il primo centro commerciale così come lo conosciamo oggi.

Gruen sosteneva che “un buon design corrisponde a buoni profitti”; più belle e invitanti sono le insegne dei negozi e gli ambienti circostanti, più a lungo i consumatori vorranno rimanervi all’interno. Più i consumatori vi rimangono all’interno e più spendono. Facile, no?

Inizialmente Gruen progettò gli “shopping mall” come un surrogato delle città europee, ovvero un luogo non solo dedito allo shopping ma in cui vivere e lavorare, dove tutto poteva essere facilmente raggiunto a piedi. Il centro commerciale doveva, quindi, ricreare un cuore cittadino che mancava nei sobborghi e nelle immense periferie americane.

Sappiamo che le cose non sono andate proprio così e, a partire dagli anni ’60, i centri commerciali si sono orientati esclusivamente alla vendita e al consumismo, spingendo migliaia di americani a mettersi in macchina e fare anche molti chilometri per raggiungere lo shopping mall, attirati dall’enorme esposizione di prodotti.

Il centro commerciale diventò un “non –luogo” perché artificiale, privo di spazi verdi e completamente estraniato da tutto il resto. Non- luogo perché il centro commerciale è un contesto che non invoglia né alla socializzazione né ad alcun tipo di esperienza ricreativa che non sia quella dello shopping, generando uno stato di isolamento e confusione attraverso un iper-stimolazione dei sensi e la decontestualizzazione dal mondo esterno. L’aria condizionata, la mancanza di finestre e quindi l’illuminazione artificiale, rendono impossibile stabilire se fuori piove o c’è il sole, se è mattina o sera, se fa caldo o freddo.

La principale attività in uno shopping center è quella di camminare seguendo percorsi prestabiliti, studiati per fare in modo di mostrare al consumatore l’intera gamma di merce in vendita prima di uscire, spingendolo il più possibile all’acquisto.  Oltre al passaggio forzato tra decine e decine di negozi prima di poter vedere finalmente l’uscita, i nostri occhi sono bombardati da immagini e luci scintillanti e le nostre orecchie da musica ad alto volume.

Il convergere di tutte queste circostanze porta ai classici segnali del Transfer di Gruen, ovvero perdita dell’orientamento, suggestionabilità, sguardo vitreo, senso di isolamento. Una sorta di stato di trance in cui diventiamo estremamente vulnerabili a tutti gli input a cui siamo sottoposti e che ci spingono a comprare compulsivamente cose di cui non se ne ha bisogno.

La maggior parte delle persone che va al centro commerciale acquista più di quanto aveva intenzione di fare inizialmente per poi rendersene conto solo una volta tornati a casa. La morale è: se ti rechi al centro commerciale per comprare solo un paio di jeans e ti ritrovi con un guardaroba nuovo di zecca, potrebbe non essere completamente colpa tua.

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